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“Un’onda che stimola le menti”: Beppe Dettori racconta “Bianco e Nero – Lo Spettacolo”

La sua voce, unita alle note suonate dalla sua chitarra, è in grado di far parlare i centenari, i cui volti e parole scorrono alle sue spalle.

Beppe Dettori, uno dei più apprezzati artisti sardi e protagonista di “Bianco e Nero – Lo Spettacolo”, ci ha gentilmente concesso un’intervista.

 

Ci racconti come è nato “Bianco e Nero”?

“Tutto partì intorno al 2009, quando conobbi Lorenzo Fasolo. Dopo un po’ di tempo mi propose di realizzare un progetto, che non fosse per forza a scopo di lucro ma qualcosa di più profondo. Ci ispirammo all’opera straordinaria di Luigi Corda, intitolata ‘100 Centenari’, e ci ponemmo una domanda: ‘Che tipo di insegnamento offrono questi centenari fotografati in bianco e nero?’. Sono queste le motivazioni che hanno spinto a concretizzare ‘Bianco e Nero’, nel quale abbiamo cercato di estrapolare dai cento volti protagonisti del libro i significati più essenziali del vivere bene: poche cose ma di alto spessore, come il valore della famiglia e del lavoro, il rispetto, la determinazione e la serietà. Ecco, Bianco e Nero ci ha aiutato a riscoprire i valori fondamentali della nostra società, spesso dimenticati”.

 

Hai parlato di essenzialità: questa riesce ad emergere anche nello Spettacolo?

“Si, assolutamente. Abbiamo voluto costruire uno spettacolo fondato sull’essenzialità: musica e parole, e alle mie spalle le immagini dei centenari e i loro pensieri. Pochi elementi ma di impatto, che spero possano colpire lo spettatore ed essere da lui compresi”.

 

Da qualche giorno è uscito “Biancoenero”, brano ufficiale dell’opera foto-musicale. Quando e come l’avete scritto?

“Diciamo che tutto è nato da un gioco, da un esperimento! Un giorno Lorenzo mi disse: ‘Ho un elenco di parole’. Insieme abbiamo cercato di assemblarle creando una sorta di poesia ed è venuto fuori il racconto di un centenario che parte dalla nascita, passa per la crescita in un ambiente familiare e arriva fino al prima e dopo la guerra, testimoniando la sofferenza che ne scaturisce. Il ritornello dice ‘Signore, pietà’, tratto dalla messa in latino. È una sorta di evocazione della spiritualità, c’è un certo rimando a quelle che sono le cose fuori da noi ma soprattutto dentro di noi. Un invito a dire che tutto scorre, fluisce, e quello che ci resta da fare è ciò che ci piace e per cui siamo più portati nella nostra esistenza”.

 

Come si è sviluppata la musica e quale strada seguirà questo brano?

“Il brano deriva da una musica che avevo nel cassetto. Ho poi capito che il racconto poetico stava magicamente sulle note. C’è stato anche un interesse da parte della Direzione del Festival di Sanremo. Poi non si è concretizzato nulla, ma è comunque stata una soddisfazione avere avuto parole di elogio per la nostra opera. Nulla vieta di portarlo un domani in altri Festival con una matrice più culturale, per fare in modo di trovare altri che si innamorino come siamo innamorati noi di ‘Bianco e Nero’”.

 

Avete proposto “Bianco e Nero – Lo Spettacolo” al di fuori dei confini nazionali, portandolo a Copenaghen. Che reazioni hanno avuto gli spettatori?

“È stata un’esperienza bellissima, anche se alcuni danesi ci hanno detto che avremmo potuto tradurre alcune frasi in inglese. Io non sarei molto d’accordo, perché lo Spettacolo perderebbe parte della sua forza. Qualcosa tuttavia è rimasto in loro: una grande sofferenza, proveniente dai volti dei centenari, una estrema serietà e una forte caparbietà. Contenuti che emergono dal libro realizzato da Luigi Corda”.

 

Dove potrebbe arrivare “Bianco e Nero”?

“Dove c’è interesse culturale, dove si vuole conservare la vita con semplicità e mostrare curiosità sul tema della Longevità. All’estero ci si chiede come mai in Sardegna ci siano così tanti centenari rispetto alla densità di popolazione dell’Isola: ecco, noi, grazie anche alla Comunità Mondiale della Longevità che ha immediatamente sposato il nostro progetto comprendendone la forza, possiamo provare a spiegarlo. Il nostro scopo è arrivare come un’onda e stimolare le menti che professano – come oggi spesso accade – povertà di contenuti”.

Marco Zucca